Curiosissima
era le cerimonia del bagnetto: gli uccelli sono animali molto puliti.
Prendevamo una pentola larga e bassa che riempivamo di acqua tiepida
e la mettevamo sul pavimento della cucina.
Bisognava poi allontanarsi e lui, quando si sentiva sicuro, prendeva la ricorsa e correva dentro la bacinella per uscirne subito dall’altra parte. Se l’acqua non era della temperatura giusta (troppo calda o troppo fredda) si avvicinava al contenitore e sbirciava l’acqua con un occhio solo, girando la testa. Allora bisognava aggiustare la temperatura. Quando tutto andava bene, si immergeva e cominciava a frullare le ali, bagnandosi completamente. E inondando mezza cucina. Quando usciva, con un saltello si metteva su una seggiola, e non ci si poteva assolutamente avvicinare. Non potendo volare, bagnato com’era, diventava aggressivo: se non stavi alla larga iniziava a battere il becco producendo una sorta di scarica di mitragliatrice e quando superavi la distanza di sicurezza, attaccava e per far male. Ma noi lo lascavamo tranquillo e lui si asciugava, passando col becco piuma per piuma.
Bisognava poi allontanarsi e lui, quando si sentiva sicuro, prendeva la ricorsa e correva dentro la bacinella per uscirne subito dall’altra parte. Se l’acqua non era della temperatura giusta (troppo calda o troppo fredda) si avvicinava al contenitore e sbirciava l’acqua con un occhio solo, girando la testa. Allora bisognava aggiustare la temperatura. Quando tutto andava bene, si immergeva e cominciava a frullare le ali, bagnandosi completamente. E inondando mezza cucina. Quando usciva, con un saltello si metteva su una seggiola, e non ci si poteva assolutamente avvicinare. Non potendo volare, bagnato com’era, diventava aggressivo: se non stavi alla larga iniziava a battere il becco producendo una sorta di scarica di mitragliatrice e quando superavi la distanza di sicurezza, attaccava e per far male. Ma noi lo lascavamo tranquillo e lui si asciugava, passando col becco piuma per piuma.
Abituato
come era a soggiornare nelle umane dimore, quando a fine agosto
andammo via per una settimana di ferie e chiudemmo la casa, lui non
fece una piega: trascorreva le giornate in giardino e la sera andava
a dormire sul porta-abiti del terzo piano di un albergo posto davanti
a casa nostra: prima tra lo sgomento degli ospiti, poi con la gioia
di tutti. Quando tornammo, riprese le solite abitudini.
Venne
l’autunno e poi l’inverno. Quando aveva voglia di uscire, si
metteva sulla maniglia della finestra ed emetteva un cupo borbottio:
allora gli aprivamo. Quando tornava picchiava col becco sul vetro.
Avevamo
anche stabilito un linguaggio: imitando un suo caratteristico
fischio, emettevamo sei corti sibili ravvicinati seguiti da uno
prolungato (fi-fi-fi-fi-fi-fi fiuuuu): e lui arrivava. Altrettanto
faceva lui per attirare la nostra attenzione.
Passò
l’inverno ed a mezza primavera non tornò più.
Ci
mancava. Ma ci consolavamo pensando che avesse incontrato una sana e
giovane merlotta e che prima o poi l’avremmo visto tornare,
presentandoci la Pippa e due o tre vispi Pippini.
Un
ben diverso destino ci attendeva.
(CONTINUA)
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