QUESTA è SUCCESSA TEMPO FA, PROPRIO ALLA MIA FAMIGLIA, A CASA DEI MIEI NONNI, QUANDO MIO PAPà E I MIEI ZII ERANO BAMBINI.
Questa
è una storia assolutamente vera.
Nel
giardino della casa dove abitavo da giovane, c’era un’alta siepe
di lauroceraso, nella quale in primavera aveva nidificato una coppia
di merli. Quando il giardiniere venne a cimare la siepe, fece cadere
il nido.
Dentro c’erano tre merlotti appena nati: due morirono ed uno, seppur malconcio, sopravvisse.
Dentro c’erano tre merlotti appena nati: due morirono ed uno, seppur malconcio, sopravvisse.
Eravamo
abituati a simili evenienze e quando trovavamo un piccolo che cadeva
dal nido lo portavamo su una torretta a livello del tetto e spesso
capitava che i genitori lo venissero ad accudire.
Quella
volta non accade e così portammo il merlo in casa per sfamarlo.
In
una precedente esperienza con un piccolo di cardellino (Pippo: dovrò
raccontarvi anche questa) un muratore che stava lavorando in casa ci
preparò un pastone fatto con farina bianca, farina gialla e
radicchio tritato, il tutto amalgamato col latte. Lo nutrimmo
imbeccandolo con uno stuzzicadenti e sopravvisse.
Altrettanto
facemmo col merlo (anch’esso battezzato “Pippo”) e funzionò
ancora. Solo che il merlo aveva altri appetiti e dopo qualche giorno
passammo ad una dieta a base di spaghetti lessati che inghiottiva con
voracità quando glieli calavamo dall’alto e di latte, di cui
rimarrà sempre ghiottissimo. E poi frutta e poi più avanti qualche
insetto, un vermetto … oltre ad un becchime nero che compravamo dal
semenzino di Via Milano.
Insomma,
crebbe.
Girava
per casa implume o meglio ricoperto da una ridicola peluria,
zampettando e saltellando. Quando era ora di andare a letto, ci
saltava nella piega del gomito a braccio ricurvo; bisognava
ricoprirlo con la mano mentre lui sbirciava dalla fessura che si
formava congiungendo l’indice col pollice e quando si sentiva caldo
e sicuro alzava una zampetta e rifilava la testa sotto l’ala.
Allora lo spostavamo dentro una larga gabbietta, in terra sotto il
mobile porta TV che coprivamo col grembiule nero di quando andavamo a
scuola, chè la luce lo infastidiva, lasciando la porticina aperta. E
lui dormiva. Quando voleva, usciva.
Pian
piano mise le piume e cominciò a svolazzare, prima buttandosi dalla
cima della gabbietta, poi da una seggiola, infine dal tavolo: imparò
benissimo.
Essendo
ancora piena estate, le finestre erano spalancate e lui imparò prima
ad affacciarsi, poi ad uscire in giardino e quindi a librarsi in
cielo aperto. Ma tornava sempre a casa, per mangiare, giocare e
dormire (sempre col rito del gomito e della mano).
Ed
iniziò a regalarci sempre nuove sorprese.
(CONTINUA)
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