In
quel garage Pippo si sentiva a casa. Quando allungai la mano si
aggrappò al mio dito, con una forza che intendeva trasmettermi
chissà quali sentimenti. Un abbraccio non mi avrebbe emozionato
altrettanto. Notai che la pianta delle zampette era mezza scorticata.
Quanta strada aveva fatto.
Quanta strada aveva fatto.
Lo
portai in cucina, tra la incredula sorpresa della famiglia tutta che
era accorsa, mezza assonnata, al mio richiamo. Che festa. Pippo saltò
sul pavimento e si diresse verso l’angolo dove mettevamo di solito
il mangime e la ciotolina del latte. In fretta e furia recuperammo il
latte ma di becchime non ne avevamo più. Gli offrimmo un po’ di
mela. Ma lui bevve solo il latte, avidamente. Poi andò sotto la TV.
Rimettemmo a posto la sua gabbietta con la porta aperta e
rintracciammo il grembiule. Si infilò nella sua camera da letto e lo
coprimmo.
*****************
Il
giorno seguente convocai il più grande esperto di merli della
provincia (l’amatissimo Don Cesare) il quale, visitato il paziente,
mi rassicurò che gli arti del volo e della direzione non erano
compromessi. Bisognava solo attendere che ripiumasse e tutto sarebbe
tornato a posto.
Nei
giorni che vennero Pippo riprese confidenza con gli ambienti che gli
appartenevano e riprese anche a mangiare con appetito. Passava il
tempo a zampettare di qua e di là, non potendo alzarsi un volo. Il
maggior problema era che tutta la famiglia si muoveva per casa come
se si camminasse sulle uova, per paura di pestarlo. Ricominciò a
fare il bagnetto, anche se mi veniva un groppo in gola quando,
asciugandosi, cercava le piume delle ali e della coda e non le
trovava.
Il
suo gioco preferito era afferrare col becco un ditale, scuotendolo e
lanciandolo a terra, per poi rincorrerlo ed afferrarlo di nuovo.
Così
trascorse l’inverno.
La
primavera incombeva e quel merlo stava per regalarci la più inattesa
delle sorprese.
(continua)
Nessun commento :
Posta un commento